venerdì 16 dicembre 2016

GIORGIO SPREAFICO

La prefazione che mi fece Giorgio Spreafico per il mio libricino di fiabe.
Dedicato "A mia mamma Elda che non mi ha mai parlato di streghe brutte e cattive".

Era tanto tempo fa, ma era anche ieri, erano i giorni in cui i nostri ragazzi erano ancora piccoli e li tenevamo per mano, sentendoci trasmettere da quella stretta morbida un tepore che ci inteneriva e una fiducia che nulla mai avrebbe potuto incrinare.
Camminavano lenti sui sentieri, misurando il nostro passo con il metro delle gambette corte delle creature al nostro fianco, e avremmo voluto restare per sempre così, in quella magica e perfetta formazione capace di mettere meravigliosamente in pari il battito dei nostri cuori.
Cercavano parole, allora. Le cercavamo per riempire di curiosità quelle testoline e dunque in qualche modo per portarcele via, al sicuro, lontano dalla noia dei gesti ripetuti e anche soltanto dal pensiero pesante della fatica. Ci servivano, le parole, per trasformarci in complici non diversi da Peter Pan e Wendy, per arrivare insieme ai nostri bimbi – grazie a un patto non dichiarato – oltre la curva giù in fondo al sentiero, e da lì fino alla quercia grande del bosco, e poi ai piedi del castagno che aveva inciso sulla corteccia un piccolo cuore trapassato da una freccia, o ancora più avanti per approdare al grande sasso di mezzavia nel quale una fata o chissà chi e chissà come aveva scolpito una sorta di sedile, buono per tirare finalmente il fiato.
Era tanto tempo fa, ma era anche ieri. Erano i giorni in cui, srotolate al ritmo dettato da quel cammino lento, le nostre parole diventavano frasi e le nostre frasi diventavano fiabe. Racconti di fantasia senza briglie né freni, nei quali poteva entrare tutto ma anche il suo esatto contrario, perché bastava giusto un guizzo, una trovatina quale che fosse, una cosa matta e ingenua pescata con spregiudicatezza nel mazzo, per far diventare credibile anche ciò che credibile non era.
“Mi racconti una storia?” ci chiedevano – chiedevano a noi grandi, papà, mamme o zii – i cuccioli che ci trottavano al fianco. E noi raccontavamo, facevamo parlare pomodori, volare patate prima intere e poi a fette, e non ci dimenticavamo mai di far camminare le instancabili gambe di sedano che infatti andavano e tornavano dai loro orti, sempre pronte a venirci dietro e persino a precederci su strade polverose e lunghe, lunghe, lunghe. A volte andavamo a tentoni, altre no, perché il patto delle fiabe poteva prevedere anche punti di passaggio obbligati: “Adesso quella del merlo e della sua amica merlottina, che poi volano via e allora…” Ma certo, adesso quella. E poi magari l’altra, con lo gnomo che spunta da…
Era davvero tanto tempo fa, ma per fortuna era anche ieri, eravamo in montagna e poi tra le mura di casa, seduti su un letto a rimboccare coperte, a strapazzare per scherzo i nostri bimbi, solletico e carezze, smorfie e baci e risate che non finivano più. Fino all’adesso però basta, all’adesso dormi, all’adesso chiudi gli occhi che sei stanco, su da bravo che io ti racconto una storia.
Ce ne eravamo dimenticati? Certo che no. Avevamo semplicemente lasciato quei ricordi in un angolo dei nostri cuori. Stavano lì ad aspettarci, proprio come le gambe di sedano sempre pronte a due passi dall’insalata. Per riportarci da loro ci volevano semplicemente altre storie, storie che venissero a visitarci, invitandoci a salire sui tappeti volanti della nostra memoria o forse della nostra vita, capaci di farci scorrazzare su e giù, su e giù, con gli occhi sgranati.
Eccole qui, le fiabe spuntate all’improvviso. Sono saltate fuori dallo zaino di un alpinista che quando è appeso alle sue pareti sa essere più duro e resistente dell’acciaio, se è ciò che serve, ma che lassù e poi quaggiù si porta dentro sempre anche un mondo di zucchero filato, e allora – per quanto grande sia – in realtà forse non è mai cresciuto troppo e di sicuro non è mai invecchiato.
Sono storie che camminano sempre sulle gambe degli gnomi, ancora più corte di quelle dei nostri bimbi. Vengono da valli lontane, misteriose e fantastiche, dove la vita è sempre essenziale, sempre scandita dai ritmi della natura, sempre fatta di una dignitosa povertà che basta a se stessa e in fondo non chiede altro, al punto che anche quando incrocia ricchezze, quando le incrocia, puntualmente decide di spalmarle sul mondo intero e non le tiene per sé. Ed eccoci lì, in posti dove la cattiveria non esiste, dove non esistono neppure le fate perché bastano le streghe a fare anche la loro parte, sempre belle e di gran cuore come sono, con le loro scope che svolazzando spazzano via paure, risolvono problemi, raccolgono cocci di sorrisi che una volta reincollati tornano sempre smaglianti.
E le montagne? Le montagne? Ci sono anche loro, e del resto come potrebbe essere diversamente nelle fiabe di un alpinista? Qualche volta sono altissime, vertiginose, circondate dalle nuvole, ma semplici elementi del paesaggio. Altre volte vengono scalate con leggerezza e coraggio da gnomini piccoli piccoli, il cui cuore però è grande. Ci sono tesori, lassù in cima. Ma ci sono anche ai piedi delle pareti, o sepolti nelle caverne di fondovalle. Bisogna solo trovarli.
Ma bisogna poi davvero? Non è così difficile separarsene, subito dopo averci messo sopra le mani. Perché le cose che contano davvero, nel mondo dove ci porta Ermanno, sono sempre altre: la bontà, l’amicizia, la generosità, la tenerezza, la semplicità, la gratitudine. Valori dei quali troppo spesso da questa parte del vetro, al di qua dello specchio oltre il quale fatichiamo a guardare, ci dimentichiamo anche solo di parlare. E infatti, infatti c’è un unico “cattivo” – quando c’è – in queste fiabe nelle quali anche i lupi e i coccodrilli sono buoni: è l’uomo che sbaglia sempre misure, tiro, desideri, pensieri e gesti, un nemico dal quale guardarsi perché sembra non saper fare altro che attentare alla natura e alla pace.
E’ questo che vedono gli gnomi di Ermanno là da dove ci guardano, dai loro sperduti villaggi ma anche dall’altro lato del nostro stesso specchio. Chissà se quando leggeremo loro queste storie i piccoli di casa vorranno sapere perché, loro che i perché li fanno zampillare ogni momento come le fontane l’acqua. Ci chiederanno se quegli uomini siamo proprio noi? Bisognerà prepararsi una risposta, e bisognerà almeno tentare di essere all’altezza della fiducia che i bimbi ripongono in noi ogni volta che ci tengono per mano.

GIORGIO SPREAFICO



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