lunedì 30 maggio 2016

lunedì 23 maggio 2016

L'OM SALVARECH

Fra i fitti e vetusti alberi del monte Armarolo viveva in tempi ormai lontani un uomo. I suoi amici erano le piante e gli animali del bosco; il suo rifugio una caverna. Il vestito che indossava era strano, confezionato con i lunghi fusti striscianti del licopodio. Egli era sovente al centro dei discorsi degli abitanti del villaggio che nelle lunghe serate invernali si riunivano a parlare del tempo, dell’andamento delle stagioni, dei futuri raccolti, del bestiame.
Le donne poi, filando la lana o la canapa al tenue lume ad olio, si chiedevano “Chi sarà? Come sarà?”-“Giovane e bello” pensavano le ragazze. Ma nessuno era in grado di descriverlo esattamente, perché nessuno l’aveva mai visto. Si sapeva soltanto che esisteva. Quell’uomo, si diceva, aveva la facoltà di rendersi invisibile.
Era tempo di primavera. I raggi del sole riscaldavano l’aria che era dolce e limpida. In un tiepido meriggio, un povero vecchio che abitava solo in un casolare isolato ai limiti del bosco ascoltava il canto degli uccellini e il fruscio delle fronde; il cuore gli si riempiva di tenerezza, mentre in modo lento e paziente puliva il latte con le dita della mano, per togliere i skat (impurità del latte).
Ad un tratto gli uccelli tacquero, il sole sparì dietro una nuvola nera e un rombo cupo risuonò in lontananza. Si scatenò un nubifragio con venti impetuosi, lampi e tuoni. Mentre la pioggia cadeva con violenza tutto intorno, la porta della modesta cucina scricchiolò, si aprì con cautela: sulla soglia, inzuppato e intirizzito, apparve l’uomo vestito di licopodio. Senza dire una parola, quasi con timore, andò a sedersi accanto al fuoco.
Il vecchio lo guardò, ma non chiese chi fosse, né da dove venisse, né dove abitasse, perché questa era la legge della selva.
Rimasero così in silenzio, ciascuno nel proprio angolo, per molto tempo. Infine il temporale cessò, le stelle brillarono nel cielo, la luna tornò a splendere e illuminare la notte ormai giunta. L’uomo, senza dire parola, uscì. Tornò poco dopo con un fascio di erbacce e finalmente facendo udire la sua voce insegnò al vecchio il modo di pulire il latte; non più con le dita, ma con una pianta chiamata Kolin, che era poi quella del suo abito: il licopodio. Volle così dimostrare al vecchio la sua riconoscenza per l’ ospitalità ricevuta.
Da allora, ogni anno a primavera, l’uomo del bosco venne in mezzo alla gente che lo accoglieva con gioia e con grandi festeggiamenti. Tutti erano curiosi di sapere chi era, ma nessuno osò mai chiedergli “chi sei? da dove vieni? dove abiti?” Così, non potendo conoscere la sua vera identità, lo chiamarono l’Om Salvarech (l’uomo selvaggio).
Un giorno la gente attese invano: non lo si vide mai più. Gli uomini, ricordarono la lezione ricevuta e fino ai nostri giorni continuarono a pulire il latte con il kolin: il licopodio. Non lo rividero proprio più ma, la gente del paese, sa che lui c’è ancora e continua ad osservare dai picchi più arditi. E l’Om Salvarech cerca di far cadere con la pioggia dei saggi di vita.

giovedì 19 maggio 2016

MARCO PANNELLA



Ciao Uomo giusto e battagliero. Forse eri un po' strano? Diverso? E chi non lo è? Però tu eri un corretto e altruista.

TERRAY e MAGNONE AL FITZ ROY 1952



Avevo trovato sul web un piccolo video di Terray e mi era piaciuto. Allora cerca e ricerca ho trovato altra roba e ho montato questo video storico.
Guido Magnone era nato a Torino ma quando aveva tre anni la famiglia era emigrata in Francia. 
Le immagini sono di Georges Strouvé (montaggio maggio 2016 - Ermanno Salvaterra)

mercoledì 11 maggio 2016

DANIELE NARDI - NANGA PARBAT

“Sento di dovere una risposta ed un racconto”. Dopo tre mesi Daniele Nardi racconta la sua verità sulla spedizione al Nanga Parbat, rispondendo finalmente a molte delle domande che gli erano state sollevate da quando aveva abbandonato il Campo Base e che erano rimaste inevase. Nardi comincia a raccontare la spedizione dall’inizio: il trekking di avvicinamento; l’ipotesi di spostarsi sullo sperone Mummery per evitare di sovrapporsi alla spedizione di Bielecki e Czech, idea subito scartata per l’eccessiva pericolosità; il volo di Bielecki a causa della rottura di una corda e l’amicizia con l’alpinista polacco. “L’alpinismo ci da la possibilità in montagna di scoprire veramente chi siamo di conoscere gli altri in qualche modo… almeno così credevo” Nardi racconta anche della sua di caduta: “Quando arrivo in alto sto per superare le rocce e ad un certo punto passo da una corda nera a delle altre corde. E’ stato un battito di ciglia e BOOM sbatto la testa con il caschetto sul pendio sottostante”. Un incidente che ha segnato in modo definitivo i rapporti tra Daniele e la sua squadra. Perde conoscenza per qualche minuto, per poi riprendersi: “Urlo ai miei compagni che sono caduto, urlo e non ho nessuna risposta. Solo dopo una decina di minuti Alex mi risponde, è su in alto […] mi chiede come sto, gli rispondo che sto bene, che non ho nulla di rotto, ma che devo scendere. Lui insiste che devo continuare a salire” ma Nardi non se la sente, così Alex decide che manderà Alì da lui, il tempo di raggiungere campo 2. Daniele chiama il campo base, cerca la voce amica di Bielecki, che però non c’è, riceve solo una risposta, quella di Simone Moro: “Risponde Simone Moro, che mi dice con grande chiarezza che sono sotto choc e non devo continuare a scalare in queste condizioni, devo scendere. Per me è una conferma importante”. Scende la notte, Daniele deve tornare a campo base, dopo il volo di una decina di metri, e finalmente sente la voce di Alì in alto, che recupera delle attrezzature e riprende la salita per tornare a campo due. “Sono solo, è una situazione che non riesco a capire”. Nardi sfoga la sua rabbia per la mancanza di aiuto da parte dei suoi compagni alla fotocamera, con parole forti, dettate dalla situazione difficile, dallo choc: “Alì alla fine è sceso fin dove stavo io e le sue ultime parole prima di andarsene sapete quali sono state? Scendi giù, quest’anno non sei buono. Si è preso lo zaino e se ne è andato su” e continua “questi non sono alpinisti… io però sopravvivo da solo […] Scendo io da solo in questo mare di buio sulle rocce Kinshofer, voi tranquilli andate a scalare il Nanga Parbat che è più importante… ma andatevene affan…”. “Lo choc della discesa è stato forte […] ma ho deciso di affrontare questa paura e di continuare la spedizione, per me questa è una cosa importantissima e voglio affrontarla.”. Torna quindi sulla montagna, fino a campo 2 e con Alex ed Alì fissa le corde fino a campo 3. “Tutto è pronto per il tentativo di vetta. Abbiamo fissato le corde fino a campo 3, abbiamo la tenda a campo 2 con il cibo e quant’altro è davvero tutto pronto, serve solo una finestra di bel tempo”. Il lavoro è quindi fatto, è solo questione di pazientare. “E’ proprio in questo momento, quando tutto era pronto, che il capo spedizione mi dice che gli italiani vogliono salire lungo la nostra via. È una bella cosa salire insieme ed unire le forze per tentare la scalata, ma la cosa contrastava un po’ con le direttive che il capo spedizione ci aveva inviato prima della spedizione […] nessuno avrebbe potuto usare le nostre corde se non che quando noi avremmo finito i nostri tentativi”. “Loro (Moro e Lunger ndr) propongono di pagare una quota per il fissaggio delle corde”, ma Nardi non vuole soldi, perché non vuole essere trattato come un portatore: è lì per scalare la montagna, arrivare in vetta e non “a prender soldi per fissare le corde sulla montagna”. La nuova squadra è fatta, un team composto da cinque membri: Alex Txikon, Daniele Nardi, Alì Sadpara e Simone Moro con Tamara Lunger. C’è però un enorme problema: la tenda a campo 2 può ospitare solo 4 alpinisti. Si discute una soluzione, si vagliano strategie, ma Simone Moro dice chiaramente che non vuole scalare con Nardi, “tu sei un bravo alpinista, ma non mi fido di te, non ho buon feeling e quindi decido che non mi unisco a te ed alla tua squadra e che preferisco scalare da solo con Tamara Lunger”. È deciso quindi: una sola via, due squadre separate. Anche Txikon però qualche mattina dopo comunica a Nardi che non lo vuole più in squadra: “mi dice chiaramente che tutto quello accaduto nel mese precedente, gli attriti legati alla caduta di Adam Bielecki sulla montagna, questo fatto della mia caduta, che non si è chiarita fino in fondo, gli hanno creato un tale stato d’animo che non se la sente più di scalare con me”. Daniele, scosso ed allibito, tenta allora la carta di Alì, ma il pakistano “dice chiaramente che l’accordo con gli italiani è stato fatto e non si può rompere, la cosa migliore per me è che io torni a casa e vada via. Scopro che il giorno precedente c’è un comunicato stampa del capo spedizione spagnolo che dichiara che loro quattro avrebbero scalato assieme e io sarei rimasto da solo a scalare. O avrei tentato una scalata in solitaria oppure sarei dovuto tornare a casa”. Daniele abbandona il campo base. Questi i fatti principali del racconto di Nardi. Siamo certi che rappresentano un punto di ripartenza per riscrivere la storia del Nanga Parbat di questo inverno.

ROSANNA E WALTER


Oggi una nuova legge ha riscritto il diritto di famiglia. Su di essa ci sono valutazioni assai differenti. 
Qui voglio solo ricordare che in qualche modo è una vittoria postuma anche per una piccola, grande donna, Rossana Podestà. 
Che nel 2011, quando perse il compagno di una vita, Walter Bonatti, ebbe la forza di raccontare con determinazione lo strazio che fu imposto a entrambi, lei disperata e lui morente, a causa del fatto che non erano sposati.
Se fosse stata già in vigore questa legge, Walter Bonatti sarebbe morto fra le braccia della donna che tanto amava.
Se fosse già stata in vigore questa legge, Rossana Podestà avrebbe potuto regalargli l'ultima carezza. Invece, al dolore di sapere morente il suo Walter, si aggiunse per lei anche la disperazione di sentire che con le ultime forze, con gli ultimi aliti di vita lui la invocava. Invano. 
(Alessandro Filippini)

giovedì 5 maggio 2016